L’arcipelago delle marchesi è costituito da 14 isole per un territorio di 1049 km². L’isola più grande dell’arcipelago è Nuku Hiva dove ha sede anche il capoluogo amministrativo, Taiohae.
Si stima che l’uomo raggiunse le isole dell’arcipelago delle Marchesi intorno al 100 a.C., proveniente dalle isole Tonga e Samoa: la prima colonizzazione fu quindi di ceppo polinesiano. Gli spagnoli arrivarono nel 1595 mentre nel 1870 ci fu l’inglobamento nella Polinesia Francese.
L’arcipelago, dall’arrivo dell’uomo bianco, subì uno dei più devastanti tracolli demografici della storia del Pacifico. Le malattie portate dagli europei decimarono la popolazione stimata nel XVI secolo intorno alle 100.000 persone, portandola a metà Ottocento a meno di 20.000, per scendere ancora all’inizio del Novecento a poco più di 2.000.


Noi arriviamo nella baia delle Vergini la notte del 16 maggio, dopo la lunga navigazione di 18 giorni in oceano. Quando arriviamo è buio per cui la grande sorpresa ce l’abbiamo alla mattina: siamo in baia fantastica circondata da pinnacoli di roccia nera e con una vegetazione verdissima.
In realtà un tempo si chiamava Baie des Verges (baia dei falli … per via dei pinnacoli) ma quando arrivarono i missionari decisero che non era un nome appropriato per cui aggiunsero una i e divenne Baie des vierges, Baia delle vergini.
Riposiamo un po’ e poi andiamo subito a terra perchè….abbiamo voglia di camminare e vorremmo tanto un baretto per un caffè. Ma non c’è nulla a terra. Il villaggio si chiama Hanavave ed è costituito da un pugno di case, una chiesa, un campo da calcio e una sola strada deserta: nulla che possa sembrare un negozio o uno snack. Chiediamo ad una signora che cammina con una statua della Madonna in braccio se sa dove potremmo comperare almeno un po’ di frutta e lei ci porta ad una pianta di pomplemusse (scopriamo poi essere l’equivalente del pomelo) e ci indica quale raccogliere. In cambio le do due barrette energetiche… qui apprezzano molto il baratto.






Dopo questa prima esplorazione ce ne torniamo in barca a mangiare: ci sono raffiche fino a 30 nodi che scendono dalle vallate e poi arriva anche tanta pioggia. Tanto dobbiamo solo riposare.
Il secondo giorno per fortuna c’è il sole anche se il mare è diventato tutto marrone con tutta la pioggia che è caduta sull’isola! Facciamo 2 lavatrici, puliamo la barca, manutenzione capelli e facciamo un po di lavoretti.
Ci avvicina un barchino guidato da Poi, un abitante molto imprenditore di Hanavave che ci propone di andare a cena a casa sua per 30 usd. Accettiamo subito! Ceniamo davanti a casa sua su un tavolo insieme ad un’altra coppia di canadesi (Steve e Lizzy) che come noi sono nella baia su un catamarano. Chiacchieriamo tutta sera con loro e conosciamo la famiglia di Poi: moglie e due figli a cui regaliamo due magliette della Lega Navale Italiana.
Il giorno successivo la moglie di Poi ci porta con il suo pick up attraverso l’isola, sull’unica strada di 17 km che collega Hanavave con Omoa.
La strada sale con tornanti ripidissimi manco fosse lo Stelvio fino in cima alle montagne da dove si vede solo tantissimo verde. Ed è davvero bello guardare tanto verde dopo aver visto solo blu per tanti giorni. A metà strada c’è un punto “ristoro” con pachine per il pic nic dove la domenica si incontrano per pranzo le famiglie dei due paesi cosi fanno metà strada ciascuno.






Il villaggio di Omoa è un po’ piu’ grande ma soprattutto ha due piccoli market dove ci facciamo portare perchè vorremmo comperare un po di roba fresca e anche la moglie di Poi deve fare la spesa. Il primo market pero’ ha solo cipolle mentre il secondo ha anche le patate. Va bhe, pazienza: comperiamo qualche birra e poco altro. Facciamo un giretto per il paese e poi andiamo in un posto dove fanno le tapa (che non sono i mangiarini spagnoli).
La tapa è un tessuto vegetale che si ottiene battendo la corteccia degli alberi ed è generalmente realizzato dalle donne. La tapa bianca è prodotta a partire dalla corteccia del Gelso da Carta, la tapa giallina dall’albero del pane, mentre quella bruno-rossiccio dal banyan tree. La tapa bianca era usata dalle famiglie di più alto rango, mentre quella bruno-rossiccia dai preti. Conosciamo Solange (che prepara la tapa) e il marito che invece fa i tipici disegni tribali delle marchesi e li colora con inchiostro.
Comperiamo una bellissima tapa giallina con disegnata una grande razza e l’appendiamo in barca dopo aver costruito un frame.



Il terzo e ultimo giorno a Fatu Iva facciamo una piccola hike con pic nic alla grande cascata. Camminiamo per circa un’oretta in salita, prima sulla strada e poi dentro alla foresta. Dobbiamo anche guadare un fiumiciattolo (e io ci pucio i piedi, ahime). Al termine del sentiero si apre una freschissima pozza d’acqua sotto ad un’altissima cascata. Il bello è che siamo proprio solo noi due. Facciamo un bagnetto e poi …pic nic: siamo attrezzatissimi grazie ad uno zainetto all inclusive regalato da Mario.
Alla fine, in paese, riusciamo anche recuperare ancora qualche pamplemousse e un casco di banane.






Dopo 3 notti nella fantastica baia delle vergini siamo pronti a ripartire e puntiamo a nord verso Hiva Oa dove c’è la Gendarmerie e dobbiamo fare l’ingresso in Polinesia Francese.



One Comment
Isolati alla Robinson Crusue’ 🤭…che posto magnifico e che vegetazione, bella la tapa con la razza 👍….buon proseguimento